Riciclo. Vi troverete a riunire i vostri abiti dismessi in una borsa, ma solo dopo averli ben selezionati. E quando uscirete per portarli ai più vicini cassonetti su strada (a Milano sono gialli) dedicati solo ai rifiuti tessili, indossate il vostro sorriso migliore. Non pensatelo come un “obbligo” voluto dalla normativa europea che, da gennaio, introduce sanzioni per chi butta vestiti e accessori nell’indifferenziata (e non in contenitori appositi), ma come la prima buona azione della giornata: motivati da quei dati insidiosi che spiegano come l’industria tessile sia responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di gas serra. Si utilizza il 4 per cento delle risorse d’acqua dolce del pianeta, contribuendo al 20 per cento dell’inquinamento idrico industriale.
Riciclo contro l’inquinamento tessile: progettare da subito la circolarità
Anche nel tessile, entro il 2025 il nuovo EPR (Responsabilità Estesa del Produttore) renderà i produttori responsabili dei costi relativi alla gestione dei rifiuti, incentivando la promozione della circolarità dei beni fin dalla progettazione. D’obbligo ritirare una quota di ciò che è portato sul mercato, proporzionale alla quantità immessa: «Per farlo, le imprese del settore si associano in consorzi ai quali delegano le responsabilità in materia di rifiuti. I capi dismessi sono portati in centri dove una manodopera specializzata li divide fra i rivendibili (alcuni in negozi vintage, molti nei Paesi in via di sviluppo) e i non utilizzabili, perché troppo usurati» spiega Giuliano Maddalena, Direttore di SAFE, l’Hub Italiano dei Consorzi per le Economie Circolari.