Chapterando...

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2 novembre 2016

Avvocati e Societing: fra conflitto e negoziazione, fra inquinamento e detox.


Qualche tempo fa, chiacchierando con un noto avvocato d’affari milanese, mi colpisce, anche senza esserne più di tanto sorpresa, la profonda consapevolezza del professionista circa un tema forte della professione: il suo tasso d’inquinamento sulla società. Non solo, l’avvocato dalle spalle larghe e il piglio da mastino, aggiunge che la malattia da inquinamento affligge prima di tutto se stessi. Da questo colloquio ne scaturiscono spontanee almeno un paio di riflessioni. Intanto quella più ovvia circa il tasso di inquinamento della professione (e delle tematiche sottostanti) sulla società, anticamera di concetto al tema del societing, ovvero a quel superamento del marketing moderno che riconosce preminenza alla società più che ai mercati, ai cittadini più che ai consumatori, allo sviluppo di relazioni e conversazioni più che alla promozione asimmetrica di brand e prodotti. Temi questi non più esclusivi del mondo della produzione e distribuzione di beni. La seconda attiene ai percorsi di “rehab” o di “detox” , per se stessi e per la società.

La prima, che è molto più di una riflessione, ci pone di fronte all’evidenza che il tasso di inquinamento del contenzioso sulla (o sulle?) società e sui sistemi giudiziari è definitivamente insostenibile, ai trend attuali. Soprattutto se proiettati alla crescita (esponenziale) dei tassi demografici nei prossimi anni. Per non dire, che anche dal punto di vista economico, l’area della litigation rappresenta ormai un ambito meno interessante o decisamente fungibile, riducendo spesso la performance del professionista o della law firm, a un prodotto commodity. E per questo maggiormente esposto al dumping dei prezzi e degli onorari. Il tema vero è però più sociologico e senza scomodare citazioni o pareri, è vero che il conflitto (e non la professione) inquina la comunità, le società e gli individui, ormai chiamati, nell’incessante evoluzione dei valori sociali, a costruire ponti (e non muri) e sviluppare relazioni. Più che liti o conflitti.

Quanto ai percorsi detox, per se stessi, umanamente e professionalmente, sempre il noto avvocato citava il pro-bono. Una pratica, quella del non-billable per soggetti deboli e/o organizzazioni non profit che viene interpretata anche con quella funzione: il rehab personale e collettivo dall’eccesso di conflitto. Il riferimento è chiaro e ognuno è alla ricerca del superamento dei muri, talvolta per necessità più ampie e profonde, talvolta perché “condannati” dalle nuove evidenze economiche e dalle regole di un gioco sempre più impegnativo. Vi è poi la strada del counseling, che potrebbe funzionare come una sorta di certificazione, anche per i professionisti più aggressivi, di salute comportamentale. Se mi occupo di me, del mio equilibrio psicologico, della mia tenuta in una società sempre più complessa, è possibile che il mio agire – senza nulla perdere in termini di efficacia – disinquini il sistema. Nato nel mondo anglosassone, il counseling è ormai uno strumento di consulenza individuale, rapido e potente, ampiamente utilizzato come pratica di supporto allo sviluppo delle persone anche nei contesti organizzativi, in risposta al crescere della complessità e delle difficoltà ambientali. Attraverso questa pratica, il professionista è stimolato a riappropriarsi delle proprie potenzialità, uscendo da comportamenti automatici non più funzionali alle dinamiche di una società che chiede soprattutto relazioni, il più possibile simmetriche. Riuscirci, nel superamento dei muri e nell’innalzamento dei ponti, sembra davvero necessario, e dopo l’inquinamento atmosferico, acustico o luminoso, è probabilmente e persino più urgente, occuparsi e impegnarsi in quello da conflitti. In una sorta di campagna di salute pubblica e sociale.