Chapterando...

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13 luglio 2016

Pro bono, pro se


Profondamente calati nei grandi temi della, e delle società, gli avvocati, così come i commercialisti o i notai, hanno sempre più la consapevolezza culturale di volere compensare una professione in qualche modo “inquinante”. Si apre così la necessità o forse, meglio, l’opportunità di un percorso “detox” che può essere attivato in molti modi. Una di queste è il pro bono, per loro stessi e per la società.
E’ noto e ampiamente documentato che, se ci si attiene per esempio all’area fungibile del litigation, il tasso di inquinamento del contenzioso sulla società e sui sistemi giudiziari è insostenibile, ai trend attuali. Soprattutto se proiettati alla crescita (esponenziale) dei tassi demografici nei prossimi anni.
Speculare a questi grandi temi di fondo può essere il conferimento di una percentuale dei tempi lavoro non billable, al sostegno e allo sviluppo di organizzazioni, enti e persone fisiche che a vario titolo contribuiscano al miglioramento della società in cui viviamo.
Ma soprattutto, se guardiamo al mondo anglosassone, la soluzione può essere identificata in coaching e counseling.

Nati in America e in Inghilterra, coaching e counseling sono ormai uno strumento di consulenza ampiamente usato come pratica di supporto allo sviluppo dei professionisti anche nei contesti organizzativi, in risposta al crescere della complessità e delle difficoltà ambientali. il 90% dei principali studi americani usa questi strumenti per il business development, il 61% per lo sviluppo della leadership, il 49% per il training e la formazione e il 24% per la gestione dei conflitti.

Entrambi sono strumenti, rapidi e potenti, atti a stimolare le organizzazioni e i professionisti a riappropriarsi delle proprie potenzialità, diventando sempre più consapevoli delle proprie risorse. Perché, ogni tanto, il pro bono fatto per sé è il migliore pro bono possibile anche nei confronti dell’intero indotto.